Mi appello ai destinatari di questa mia nota per evidenziare, oltre alle ormai note conseguenze della pandemia Covid, un gravissimo elemento di disagio di cui poco si parla ma che, a mio parere, va affrontato e risolto in modo rapido ed efficace.

Mi riferisco alla mancanza di un codice etico che affronti il problema della comunicazione e del mantenimento dei rapporti tra i malati in regime di ricovero e i parenti stretti degli stessi.

Come noto le norme di prevenzione prevedono all'atto di un ricovero l'isolamento del paziente all'interno dei reparti e il divieto di visita da parte dei familiari. Se queste norme sono comprensibilmente necessarie e vanno rispettate, non è peraltro eticamente accettabile una forma di emarginazione dei malati rispetto alla famiglia che spesso li fa  precipitare in una forma di prostrazione, senso di abbandono e depressione . Altrettanto penosa la sofferenza dei familiari che vivono con ansia, e spesso consenso di colpa,  il distacco obbligato dai propri cari ed una incostante informazione sul loro stato di salute. Senza dimenticare  che questa sofferenza diviene poi insopportabile nei casi più gravi quando la malattia ha il sopravvento e può condurre alla morte. 

E' da un anno che, come medico responsabile di un reparto di degenza, vivo con forte imbarazzo questa situazione di forte disagio alla quale ho sempre cercato di porre rimedio con il mio costante impegno e con disposizioni al personale al fine di mettere il atto la massima collaborazione in tal senso.  Ritengo però che tali iniziative non possano essere affidate esclusivamente alla buona volontà e sensibilità del personale sanitario e parasanitario operante nei reparti ma debbano essere regolamentate per garantire una informazione costante e il mantenimento dei rapporti umani altrettanto indispensabili per la salute fisica e psichica dei malati. Non mancano oggi gli strumenti tecnologici per abbattere quel muro di solitudine che affligge gli infermi. Collaborare con una informazione giornaliera, una  telefonata o una video-chiamata può essere un piccolo atto indispensabile a lenire le grandi sofferenza che tutti siamo chiamati a sopportare in questo tragico momento.

Mi appello affinché  tutte le autorità competenti si attivino subito per normare un codice etico obbligatorio in tal senso , di costo zero ma di elevatissimo valore morale.

Dr. Giorgio Tigano

 

Ho apprezzato la lettera aperta del collega Giorgio Tigano, che anticipa riflessioni tradotte in protocolli operativi e che stimola tutta la comunità ad un’attenta riflessione sull’etica clinica che questa pandemia ha portato con sé.

E’ apprezzabile quanto il Dott. Tigano, nella sua umanità e professionalità, ha svolto nel suo ruolo di medico presso il Centro a valenza sanitaria dell’Eremo di Miazzina, ed anche il suo invito a stilare un codice etico in tempi emergenziali, denunciando quanto il rapporto malato-familiare sia stato ridotto se non annullato.

Ora ogni operatore sanitario ha il dovere morale di “umanizzare le cure”, cercando con progettualità a dare risposte nel momento più alto del bisogno e della fragilità umana, dove accanto la malattia si aggiunge anche un abbandono forzato.

Sono testimone che tante e tante altre strutture sanitarie hanno messo in atto modelli di comunicazione per riempire quel “vuoto comunicativo” imposto dalla pandemia.

Interessante sarebbe mettere in rete e condividere tutte le buone pratiche messe in atto dai tanti e tanti operatori e amministratori di struttura sanitarie e non da ultimo l’esperienza del “tunnel degli abbracci” che si sta diffondendo anche in altre realtà territoriali.

L’etica della cura si è andata modificando.

Al principio tradizionale, fare il bene del paziente, deciso dal medico in scienza e coscienza, si sono aggiunti due principi, ugualmente essenziali per definire la buona medicina: il rispetto dell’autodeterminazione della persona malata, che richiede informazione e coinvolgimento nelle scelte, e il principio dell’equità nella ripartizione delle risorse, senza discriminazioni.

L’etica medica della modernità è diventata così tridimensionale. 

Sappiamo che la deontologia si articola su questi tre pilastri che devono entrare in armonia.

La sintesi perfetta è il rapporto fiduciario medico paziente in una dimensione di “amicalità”.

Non vuole essere una frase del libro “cuore”, ma il paternalismo, l’automomia e la giustizia sociale trovano nel fondamento del rapporto di vicinanza e condivisione la sintesi più alta.

Ben venga quindi ogni possibilità di incontro e confronto nella comunità civile per una nuova cultura dell’etica della cura e una “metanoia” ad ogni livello relazionale.

Certo, al di là delle ricerche tecnologiche per la comunicazione, ciò che dovremmo perseguire e che abbia cogenza è la possibilità di dare eticità a quel momento irripetibile del trapasso, affinché la persona sia circondata dagli affetti più cari ed al di là delle “norme” precauzionali e dei protocolli.

Dott. Antonio Lillo